G. Bateson (1904-1980) intraprese lo studio delle specie viventi anche grazie al retaggio familiare (il padre era un illustre biologo), che lo spinse verso la ricerca scientifica, ma abbandonò ben presto gli studi biologici e si lasciò guidare da A. Radcliffe-Brown sulla via dell’antropologia, sviluppando un’originale esplorazione delle culture umane. Bateson dimostrò un’attitudine eclettica, che gli sembrò necessaria per ottenere una sintesi unitaria di fenomeni naturali e sociali multiformi. La Nuova Guinea diventa il suo primo terreno di ricerca (1927-33). Qui egli raggiunge i clan iatmul, di cui ricostruisce la struttura sociale studiando il naven, un rituale di travestimento sessuale e di inversione gerarchica dei ruoli che mette in scena la relazione critica tra il fratello di una donna e il figlio adolescente di quest’ultima (Bateson, 1936). Il rito governa la tensione gerarchica determinata dalla prima impresa significativa del giovane (conquiste di guerra o di caccia). Nella sequenza rituale lo zio materno sospende la propria autorità maschile travestendosi da donna e si sottomette al nipote che viene promosso al rango di adulto. Questa tattica interattiva, scaricando l’accumulo della tensione sociale attraverso una sottomissione ritualizzata, impedisce l’antagonismo reciproco tra individui in competizione sociale ed evita la spaccatura del clan. Bateson invita così l’antropologia a interessarsi della drammaturgia comunicativa che regola i conflitti lungo l’asse delle generazioni (adulti/giovani) e dei generi (uomo/donna), dimostrando che i comportamenti culturali derivano dall’apprendimento di valori e regole sociali attraverso una pedagogia collettiva codificata in istituzioni specifiche (riti). Questa ricerca, inoltre, crea il sodalizio scientifico e affettivo con M. Mead, che raggiunge il suo apice a Bali dove insieme documentano i comportamenti sociali (puericultura, danza, trance) del cosiddetto «carattere balinese» (Bateson e Mead, 1942). Essi descrivono l’apprendimento delle danze tradizionali ottenuto grazie all’influenzamento cinestetico attivo e diretto esercitato dal maestro sull’allievo. La perfezione del movimento rappresenta il modello ideale della danza, a cui tutti aspirano per ottenere l’integrazione organizzata tra le parti corporee e sociali della comunità. Il gruppo culturale idealizza la conquista di un’armonia generalizzata, che si costituisce come un valore supremo raggiunto solo superando i punti di resistenza e di opposizione esistenti nelle relazioni tra individui appartenenti a caste diverse. A tal fine, anche l’educazione dei bambini mira a contenere le emozioni (eccitazioni e frustrazioni) all’interno di uno stato temperato stazionario per conservare stretti rapporti di alleanza e di fiducia reciproca. La forza di questi legami viene rovesciata in forma aggressiva solo all’esterno (tradizione guerriera). Bateson studia sempre l’individuo o il gruppo all’interno di un preciso scenario ambientale, sociale e culturale, nella convinzione che solo un esame del contesto permette di conferire un senso elettivo al fenomeno prescelto. Il contesto rappresenta l’insieme delle regole che permettono al soggetto sociale di classificare le interazioni all’interno di una categoria selezionata di eventi (ad es. gioco, malattia, guerra, trance). Durante il conflitto mondiale Bateson presta le sue competenze alla cosiddetta «guerra psicologica»; esperienza che alimenterà la sua diffidenza verso la conoscenza applicata per controllare e manipolare la realtà. La visione sistemica alimenta in lui la consapevolezza della sproporzione irriducibile tra la conoscenza astratta e l’applicazione intenzionale finalizzata. L’imperfezione della conoscenza rappresenta il limite invalicabile che deve essere rispettato da ogni azione orientata. Senza questa consapevolezza, la modificazione dell’esistente finisce con il danneggiare sempre l’insieme complesso e multidimensionale della realtà vissuta. L’inclinazione cognitiva di Bateson lo spinge verso ricerche ancora più comprensive, partendo puntualmente da un fatto contingente e spostandosi lungo una rete sempre più estesa, in cui le singole parti costituenti sono collegate tra di loro per dare forma a un tutto (olismo). Giunge a questa nuova visione attraverso la logica formale di B. Russel e A. Whitehead e grazie ai circoli creativi della cibernetica (Macy Conferences, 1942-53). Bateson è attratto dalle regole e dai paradossi della comunicazione, oltre che dal funzionamento dei circuiti di controllo necessari a scambiare informazioni nel mondo fisico e umano. La comunicazione gli appare la proprietà fondamentale dei sistemi fondati sullo scambio, impegnati a conservare le loro strutture ma costretti a modificare la loro organizzazione nel corso del tempo o di fronte a variazioni delle condizioni interne ed esterne.
In questo periodo Bateson dialoga con personaggi brillanti come W. McCulloch, H. von Foerster, J. von Neumann e N. Wiener, che gli aprono prospettive impensabili, anche se i suoi progetti più speculativi non trovano finanziamenti adeguati. I suoi programmi scientifici, insieme alla sua vita, risentono di una persistente precarietà materiale per cui accetta di lavorare a ricerche condotte da altri. Collabora a uno studio empirico sulla psichiatria che intende studiare come questa disciplina tratta il proprio oggetto e organizza il proprio sapere (Ruesch e Bateson, 1951). Questa ricerca assume l’istituzione psichiatrica come un sistema antropologico dotato di miti, riti, tecniche, valori e poteri collegati intimamente all’ideologia più generale della società. Il sapere psichiatrico sembra tener conto più di quest’ultima che delle sue conoscenze teoriche o dei suoi dati empirici. In tal modo le concezioni sociali generali agiscono sulla disciplina specifica come peculiari fattori di condizionamento dell’esercizio clinico. Questo studio lo spinge a esplorare l’universo della psicologia clinica, peraltro già conosciuta attraverso un’analisi personale di orientamento junghiano (1946). Si avvicina così il momento in cui Bateson realizza la scoperta controversa che lo porterà alla ribalta mondiale. Ciò avviene studiando quelle modalità comunicative capaci di generare equivoci irrisolvibili sul piano dell’interpretazione e del comportamento in risposta al senso esplicito e implicito dei messaggi scambiati, i quali sembrano oltremodo correlati a disturbi psicopatologici maggiori (schizofrenia). Il gruppo coordinato da Bateson (W. Fry, J. Haley, D. Jackson, J. Weakland) definisce queste comunicazioni come messaggi a «doppio vincolo» e ne esplicita le condizioni insieme agli effetti: a) due persone devono essere coinvolte in una dinamica relazionale significativa (ad es. genitore-figlio); b) uno dei due locutori esprime messaggi che si contraddicono a un diverso livello espressivo (ad es., la frase esprime accettazione emotiva mentre il gesto esprime rifiuto) per cui la risposta giusta diventa indecidibile; c) la relazione di subordinazione vitale di un membro rispetto all’altro impedisce che venga criticata l’incoerenza del messaggio complessivo espresso dai due codici comunicativi (parola e gesto); d) qualunque risposta viene ulteriormente criticata senza lasciare alternative a chi deve operare la scelta il quale, a questo punto, offre reazioni affettive, cognitive e comportamentali arbitrarie, bizzarre e incomprensibili; e) la ripetizione continua di questa modalità comunicativa diventa una sorta di apprendimento che, una volta fissato, non necessita più dello svolgimento dell’intera sequenza contraddittoria (Bateson, 1972). L’eleganza formale di questo modello viene assunta da un’ampia parte del mondo scientifico come una spiegazione causale del disturbo schizofrenico. Tale generalizzazione prepara una lunga stagione psicoterapeutica in cui si ritiene possibile bloccare la sequenza psicopatogena con l’utilizzazione di comunicazioni correttive.
L’assunzione del «doppio vincolo» come causa del disturbo mentale rilancia le teorie che concepiscono la famiglia come sistema chiuso di comunicazioni disfunzionali e che desiderano la madre come attore patogeno principale. Nonostante l’iniziale successo di
questo modello, Bateson ne critica l’impronta riduzionista e non aderisce al progetto di costruire una psicoterapeutica ispirata alla teoria da lui stesso sviluppata. I suoi colleghi, invece, ottengono i finanziamenti necessari alla fondazione del Mental Research Institute di Palo Alto (1959), dove verranno elaborati i principi generali della comunicazione normale, patologica e psicoterapeutica che avranno risonanza universale (Watzlawick, Jackson e Beavin, 1967). Bateson ricorderà che il suo schema fortunato non voleva né doveva essere, principalmente, uno studio delle comunicazioni schizofreniche, anche se i finanziamenti erano destinati proprio alla soluzione di questo enigma clinico e all’individuazione del ruolo giocato dalla diade madre/bambino nella genesi di questa deviazione morbosa. Bateson era attirato invece da una più vasta classe di fenomeni (comicità, arte, poesia, religione, comunicazione animale), in cui è possibile riconoscere la presenza di messaggi ambigui e contraddittori che provocano salti logici nella comunicazione ma capaci, al contempo, di determinare effetti di realtà del tutto imprevisti. Nonostante la resistenza risentita con cui rifiuta di prestare le sue teorie all’impiego clinico, molte scuole psicoterapeutiche crederanno di lavorare nella sua direzione e con il suo consenso. La loro azione riparativa si sposta dall’individuo alla famiglia, considerata come un sistema impegnato nel mantenimento del proprio equilibrio (omeostasi), utilizzando finanche la disfunzione mentale come fattore di stabilizzazione del gruppo. Il problema vissuto da queste famiglie è, in generale, di non sapere modificare il proprio contesto comunicativo per riuscire a dare soluzione ai sintomi di cui un loro membro essenziale diventa portatore. Al contrario, il sistema familiare finisce con il riprodurre proprio quelle situazioni comunicative in cui il sintomo diventa ripetitivo, permanente e amplificato. Le psicoterapie ispirate alla teoria di Bateson introducono anche nuovi strumenti di ricerca e di lavoro: specchio unidirezionale; interazione d’equipe; supervisioni simultanee; posizione attiva del terapeuta; paradossi logici e giochi di ruolo; ingiunzioni e prescrizioni che agiscono sul sintomo o sui comportamenti collettivi. Questi metodi evitano l’esplorazione delle sorgenti inconsce della psicologia umana e dimostrano un orientamento comportamentista. La divergenza di Bateson dai terapeuti della famiglia emerge anche quando risponde alle critiche della psichiatria nordamericana, richiamando la necessità di un metodo consapevole della complessità dei fenomeni psicopatologici. Appare sempre convinto che alla base della sindrome schizofrenica stia un’infinità di cause diverse e che anche quelle ipotizzate dalla ricerca biologica non debbano trascurare il dato che il disturbo nasce in un soggetto umano e si sviluppa sempre in ambienti gruppali non riconducibili alla sola determinazione naturalistica. L’intrinseca complessità della sindrome lo invita a porsi il problema delle interazioni tra cause indipendenti che, in un dato momento e in un certo individuo-sistema, fanno convergere le loro linee di forza patogena per determinare l’evento morboso. Le modalità comunicative costituiscono per lui solo i nodi particolari di una rete causale più vasta nella cui trama è intrappolata la soluzione del rompicapo. Il suo bisogno di astrazione lo spinge a lavorare intorno alla definizione formale della mente. Quest’ultima gli appare come l’espressione di una qualità organizzativa del vivente, riconoscibile sia nelle strutture naturali che nell’attività stessa del pensiero umano. Bateson vuole infatti individuare la struttura che connette tutte le creature viventi, nella convinzione che ogni fenomeno naturale può essere compreso solo nelle relazioni che si riescono a istituire tra di esso e almeno un altro elemento fenomenico. La relazione tra parti diverse rende possibile l’esistenza di un insieme caratterizzato da specifiche proprietà che derivano da questa interazione connettiva e che vengono perdute irreversibilmente nel momento in cui il legame tra le parti interagenti viene reciso. La proprietà specifica di un sistema vivente non è mai localizzabile, non è una dimensione materiale disposta in uno spazio, non dipende dalla singola parte (non è una proprietà di quest’ultima), ma deriva dalla struttura e dalla dinamica del tutto. Per sostenere questo assunto Bateson descrive le caratteristiche del processo mentale e, al contempo, preconizza i vantaggi che derivano da una conoscenza dell’«ecologia della mente», ovvero da una conoscenza fondata sul gioco delle relazioni tra le parti e il tutto. Perché un aggregato di fenomeni o un sistema organizzato possa essere definito una mente, bisogna che: a) vi sia un aggregato di parti differenziate e interagenti; b) l’interazione tra le parti sia attivata dalla percezione di una differenza informativa; c) intervenga un’energia collaterale; d) esistano catene di determinazione circolare; e) le differenze siano percepite in rapporto a informazioni differenziali precedenti; f) la classificazione dei processi di circolazione e trasformazione della differenza faccia ricorso a tipi logici organizzati gerarchicamente (ad es., l’analisi di un fenomeno richiede informazioni gerarchicamente inferiori rispetto a quelle necessarie per studiare la classe dei fenomeni a cui il fenomeno appartiene). L’effetto globale di questi principi di collegamento tra la natura e la mente umana – dove la prima è considerata come una particolare forma mentale organizzata e generalizzata all’intero ecosistema – è quello di vedere, ancora una volta, un sistema (individuo) caratterizzato da relazioni tra parti (organi) organizzate in un contesto. Queste parti apprendono una funzione e imparano ad apprendere (deuteroapprendimento) finanche il modo generale con cui esercitare nuove funzioni (istituzione di nuove relazioni significative tra le parti), che permettono sia l’adattamento statico (omeostasi) che quello dinamico (cambiamento evolutivo), in un flusso temporale che abbraccia tutti gli esseri viventi. Secondo tale formulazione, le singole parti possono essere considerate come sistemi compiuti, se riferite a se stesse (ad es. una cellula), mentre tornano a essere semplici parti all’interno di un sistema più ampio che scaturisce dall’organizzazione delle parti (ad es. un organo o un apparato). Viceversa, i sistemi che derivano dall’organizzazione strutturata di parti diventano semplici parti di insiemi sempre più grandi (ad es., i singoli organi formano un corpo funzionante). Lo sforzo conoscitivo principale è sempre quello di individuare un gioco relazionale complesso che potrebbe essere non immediatamente evidente (ad es., come un virus è collegato alla funzione e al destino di una specie vivente o di un intero ecosistema?) Per poter ammirare l’azione di questi elementi bisogna operare delle generalizzazioni tra fenomeni diversi, in cui si sospetta l’esistenza di affinità sottili riconoscibili con un salto verso descrizioni di ordine superiore o più generale (abduzione). Ciò costringe, ad esempio, a passare dallo studio di un individuo a quello dei gruppi o delle popolazioni per individuare i comportamenti individuali o della specie; a rivolgersi dallo studio dell’acqua a quello dei granchi per poter comprendere i mutamenti evolutivi del pianeta. La visione olistica di Bateson – secondo cui le relazioni sono stabilite dallo scambio di informazioni entro circuiti estesi oltre che interconnessi (mente), e che permette, conseguentemente, di ipotizzare un sistema che comprenda tutti i sistemi – si spinge a intravedere una suprema unità verso cui dirigere la conoscenza raggiungendo anche quelle dimensioni su cui persino gli angeli esitano a posare il piede (Bateson e Bateson, 1987).
Al culmine della fama, raggiunta molto in ritardo, ma assediato dalla malattia, la sua impresa intellettuale sussulta per l’ultima volta allorché scala le altezze del sacro e dell’estetica che considera assolutamente necessarie allo sviluppo di una scienza vitale. Le scoperte che non rinviano all’uno e all’altra soddisfano soltanto il piano della coscienza volontaria, che non sa porsi la domanda di come le cose e i fenomeni siano tra loro interconnessi. La bellezza e la verità del sacro si incontrano allora nella concezione dell’unità fondamentale e nascosta di tutte le creature. Ciò che Bateson intravede in questa proiezione finale non è la luce accecante del misticismo, ma l’attività estrema di un sistema raziocinante, capace di adottare la contemplazione dell’unità immanente di tutti i fenomeni. Anche questa proprietà, fondamentale e ultima, discende da una capacità relazionale selezionata nel lungo periodo e che nello scambio di informazioni trova la propria possibilità. Uno scambio istituito, innanzitutto, tra i fenomeni e i loro osservatori, che, in definitiva, ne offrono la descrizione scientifica per quanto provvisoria, parziale e relativa. Bateson ha saputo muoversi tra civiltà e discipline diverse influenzando studiosi, movimenti, inclinazioni ideologiche, programmi di ricerca e idee allo stato nascente. Non è mai rimasto troppo a lungo all’interno del quadro ristretto di una disciplina specifica, ma ha saputo piuttosto intuire, anticipare e preconizzare il successo delle discipline più innovative (cibernetica; teorie dei sistemi; epistemologia). La malattia e la morte gli hanno impedito di concludere l’impresa conoscitiva più ambiziosa (conoscenza scientifica della categoria del divino), ma il suo pensiero è rimasto sempre aperto e in divenire, evitando la rigidità di una teoria chiusa, sistematica e invariabilmente fallace. Ancora negli anni ’80 la sua opera continuava a rappresentare un punto di riferimento essenziale, che contribuì al rinnovamento generale della conoscenza scientifica grazie all’esaltazione del ruolo decisivo giocato dall’osservatore nella costruzione del sapere. Il modo con cui l’osservatore influenza sempre la natura dell’oggetto osservato, venendo reciprocamente influenzato da quest’ultimo, deriva dalla coscienza raggiunta della complessità immanente di ogni oggetto di ricerca. Le qualità di soggettività e autonomia, presenti sia nel soggetto che nell’oggetto, sono collegate attraverso una dinamica di perturbazione reciproca che rende instabile ogni approdo conoscitivo. Questa complessa relazione, in modo indipendente, era già stata convenientemente anticipata da G. Devereux, il fondatore dell’etnopsichiatria, anche se le sue scoperte sono rimaste troppo a lungo sconosciute e incomprese (Devereux, 1967). Bateson ha lasciato un grande vuoto scientifico, solo parzialmente colmato da altri studiosi in grado di elaborare teorie generali avanzate e creative (H. Maturana e F. Varela; H. von Foerster; E. von Glaserfeld). Al tempo stesso, il mondo della psicoterapia continua ancora oggi a ruotare intorno a una proliferazione inarrestabile di tecniche di intervento sull’individuo e sulla famiglia, certamente originali e innovative, ma che non riescono a stabilizzarsi all’interno di una conoscenza unitaria e condivisa.
SALVATORE INGLESE