Daniel Goleman su Gregory Bateson

Citazioni tratte da “Menzogna, autoinganno, illusione” di Gregory Bateson.


Nella primavera del 1978 ebbi il piacere di incontrare Gregory Bateson. Sebbene
respirasse male per il cancro ai polmoni che diversi mesi dopo avrebbe posto fine alla sua vita, il suo morale era alto e la mente vivace come sempre.
Bateson stava ricostruendo la sua odissea intellettuale. Aveva avuto una prima
rivelazione subito dopo la seconda guerra mondiale, alle conferenze della Macy
Foundation, dove il gruppo di Norbert Wiener si occupava di cibernetica. «In quel
momento», disse Bateson, «mi accorsi di essere sul binario giusto: potevo vedere più chiaramente le caratteristiche degli interi sistemi, dei modelli intercomunicanti che connettono le cose.»
Bateson abbandonò le opinioni, allora imperanti, dei comportamentisti: «Quelle
teorie sull’uomo che inizia il suo viaggio da una psicologia quasi animale, inadatta e umorale, si sono rivelate una premessa improbabile da cui partire per rispondere alla domanda del salmista: ‘Dio, che cos’è l’uomo?’.
Questa ristrettezza di vedute ci impediva di discernere il modello connettivo».
«Qual è», chiesi, «il modello connettivo?»
«Il modello connettivo», rispose Bateson, «è un ‘metamodello’, un modello di
modelli. Nella maggior parte dei casi non riusciamo a vederlo. Eccetto che per la
musica, siamo abituati a pensare ai modelli come a qualcosa di fisso. La verità è che il modo giusto di intendere il modello connettivo è di vederlo come un balletto di parti che interagiscono fra loro e che vengono, in un secondo tempo, fissate da tutta una serie di limiti fisici, dalle abitudini e dall’attribuzione di un nome alle situazioni e alle entità che lo caratterizzano.»
Un balletto di parti che interagiscono; il modello connettivo: questi concetti mi
colpirono. Negli anni successivi mi stimolarono a una ricerca.


Gregory Bateson coniò un termine pertinente. Usò la parola «dormitivo» per
denotare un offuscamento, un’incapacità nel vedere le cose come sono. «Dormitivo» deriva dal latino dormire. «Ho rubato il termine a Molière», mi spiegò una volta Bateson. «Nel finale del Malato immaginario c’è una coda in latino maccheronico nella quale un gruppo di medici medievali fanno l’esame orale a un candidato all’esercizio della professione. Essi gli chiedono: ‘Com’è che l’oppio fa addormentare la gente?’ E il candidato, trionfante, risponde: ‘Perché, sapienti dottori, contiene un principio dormitivo’.» Come dire: fa dormire la gente perché la addormenta. Il termine «dormitivo» può essere applicato anche nel nostro caso. Rubando la parola a Bateson, i modelli dormitivi sono le forze che danno origine a un sonno a occhi aperti ai margini della consapevolezza.


La descrizione più ampiamente conosciuta di uno stile inculcato di percezione patologica è quella che Gregory Bateson e i suoi colleghi fecero, nei primi anni Cinquanta, del «doppio legame», un modello di comunicazione tra genitore e figlio che culmina nella schizofrenia.
L’essenza del doppio legame sta in un messaggio a due facce, dove il significato
evidente è contraddetto da uno nascosto. Il messaggio evidente è in tandem con
una lacuna che protegge la contraddizione dalla consapevolezza. Il risultato è il caos: è impossibile soddisfare entrambi i messaggi, ma la persona non sa spiegarsi perché è così. Il messaggio nascosto viene di solito inviato non verbalmente, ma con l’atteggiamento del corpo, col tono di voce, coi gesti, con l’irrigidimento muscolare e così via.


«Esiste sempre un valore ottimale», mi disse Gregory Bateson, «oltre il quale ogni cosa diviene tossica: l’ossigeno, il sonno, la psicoterapia, la filosofia. Qualsiasi variabile biologica ha bisogno di equilibrio.»


Durante una conversazione che ebbe con me Bateson ricordò una cosa che Robert Oppenheimer gli aveva detto nel 1947: Il mondo si muove in direzione dell’inferno, a gran velocità e forse con un ritmo crescente di accelerazione; e l’unica condizione perché possa non raggiungere la sua destinazione è che noi e i russi desideriamo arrivarci. «Ogni mossa che noi facciamo per paura della prossima guerra», aveva teorizzato Bateson, «non fa che avvicinarla. Ci armiamo per controllare i russi, e loro fanno lo stesso. L’ansia, in realtà, provoca le cose che teme, è l’artefice del proprio disastro.»
Dovremmo allora stare semplicemente a guardare senza muovere un dito? «Stai
maledettamente attento alla politica che usi per controllarla. Non conosci il disegno globale, perciò potresti scatenare il prossimo orrore cercando di riparare a quello attuale.»